martedì 27 maggio 2014

Il museo sul mare - di Gabriele Contini


  • Dopo aver parlato della sua metropolitana attraverso la nostra rubrica Metropolitane del mondo, vogliamo prendere in considerazione ancora una volta Bilbao.
    Bilbao si affaccia sul mare, e come la maggior parte delle città marittime, hanno da sempre voluto affermare il loro orgoglio con imponenti opere architettoniche affacciate proprio sul loro mare, come la famosa Lanterna genovese o il minaccioso Castel dell'Ovo napoletano.


    È proprio da qui che la città spagnola decise di ripartire, dopo il declino dovuto alla deindustrializzazione imposta dall'esaurimento delle miniere delle Asturie.
    La forza della rinascita parte dagli enti locali che decisero di affidarsi a una delle più importanti istituzioni artistiche del mondo: la Guggenheim Foundation, che preferì intervenire a Bilbao piuttosto che a Barcellona vista l'importante propensione dell'amministrazione, al fine di modificare e migliorare l'identità cittadina.


    L'idea della fondazione era quella di costruire quello che ora viene considerato come uno dei più belli musei di nuova generazionne, progetto realizzato dal grande architetto americano Frank O. Gehry, e sostenuto da un apparato scientifico, organizzativo e promozionale di livello fino ad oggi insuperato, grazie al quale l'intervento ha goduto, e gode tutt'oggi, di un'attenzione privilegiata da parte dell'opinione pubblica e dei mezzi d'informazione.
    L'area (24.000 metri quadrati) su cui sorge l'opera, si affaccia sul fiume Nervión, nei pressi del Ponte della Salve.
    Il rivestimento è in pietra e titanio, cui si aggiunge il cristallo delle vetrate. La superficie metallica ricurva crea incredibili giochi di riflessi e ombre, che conferiscono all'edificio un aspetto sempre diverso al mutare della luce e delle ore del giorno. Con le sue geometrie curve, le prospettive sbilenche, le superfici apparentemente non finite, chiude in maniera spettacolare le principali visuali della città.

    Caotico soltanto all'apparenza, l'edificio del Guggenheim Museum Bilbao è estremamente funzionale. È disposto su tre livelli, più uno, dedicato agli impianti. Il tutto ruota attorno a un atrio monumentale, coronato da una cupola di metallo, che si spalanca sul fiume con grandi vetrate. Da questo spazio si può accedere a una terrazza, affacciata su un laghetto artificiale.
    Dopo 5 anni dalla sua inaugurazione il museo è stato visitato da oltre 4 milioni di visitatori, il che è a dir poco clamoroso, per una città che in precedenza godeva di un'attrattiva turistica piuttosto scarsa. La ricaduta economica è risultata incredibile anche per il giro d'affari complessivo che ha portato a tutta la città.
    Si è calcolato che la realizzazione del Guggenheim Museum ha prodotto nel solo triennio 1998-2000 un indotto di oltre 635 milioni di dollari
    Come non augurarsi un futuro simile per Cagliari e magari proprio sul lungomare Sant'Elia?

    Bibliografia
    P. Fadda, Cagliari per imitare Bilbao si affaccia sul mare con un museo, in ViaMare, 2006, n.10
    A. Martini, L'indotto Guggheneim vale mille miliardi, in Il Giornale dell'arte, febbraio 2001, n.196

venerdì 23 maggio 2014

Come ti distruggo un pezzo di città - il rischio idrogeologico in Sardegna

L'82% dei comuni della Sardegna convive, almeno in una parte del suo territorio, con un rischio idrogeologico elevato.

Sono ben 1523 le frane censite che ricoprono una superficie complessiva di circa 1471 chilometri quadrati, pari a circa il 10% dell'isola. 

In Sardegna 337 sono i ponti stradali che in caso di eventi meteorologici intensi potrebbero essere causa di inondazioni, mentre sono 15 i ponti ferroviari, 128 edifici costruiti in aree di pertinenza fluviale, 44 strutture fognarie sono ancora insufficienti, 31 opere di difesa del suolo non sono più efficienti o non sono correttamente manutenute, 198 sono i punti di alvei o fiumi che necessitano di manutenzione.

Allo stato attuale sono solo 233 su 377 i comuni sardi dotati di un piano di emergenza, strumento indispensabile per la prevenzione dei rischi e atto a fronteggiare l'emergenza, e 147 su 308 i comuni che hanno un Piano Rischio Idrogeologico

È molto importante la prevenzione, intesa pure come informazione, può anche costare poco in termini economici ma far guadagnare molto sotto l’aspetto della sicurezza e della tranquillità di intere comunità e bacini idrografici.


Proprio questo è l’argomento di un interessante report, intitolato Progetto Cleopatra, appena realizzato dal geologo Giampiero Petrucci,  sui luoghi colpiti dall’alluvione del 18 novembre 2013. La relazione, 45 pagine di denuncia e critica costruttiva, corredata da una cinquantina di foto e mappe, illustra compiutamente i fatti, le cause, gli effetti e soprattutto le soluzioni di quanto accaduto in Sardegna prima, durante e dopo la catastrofica alluvione che ha stravolto i territori di 63 Comuni e lasciato sul campo 18 vittime. 

Petrucci ribadisce ed approfondisce come l’origine atmosferica dei fenomeni, il consumo del suolo cui è stata sottoposta l’isola negli ultimi 50 anni, la mancata prevenzione e l’inadeguatezza della cartografia attualmente in vigore che, giungendo oltre tutto in ritardo, certamente non ha agevolato una corretta pianificazione urbanistica.

In questo contesto la figura del sindaco assume un ruolo-chiave. 

Nessuno meglio dei sindaci e dei loro concittadini conosce il territorio in cui vivono ed abitano: dunque devono essere loro i primi referenti per qualsiasi operazione ed attività di ripristino come di prevenzione. Se ben supportati ed adeguatamente informati, i sindaci possono diventare la chiave di volta per la messa in sicurezza dei loro Comuni.

http://urbanistikatecnica.blogspot.it/2014/03/piano-stralcio-per-lassetto.html



martedì 20 maggio 2014

Radar militari e radiazioni

Diversi anni fa, ben prima che nascesse l'idea di urbanisti.ka e quella dell'associazione Le Officine, di cui urbanisti.ka è solamente uno dei tanti laboratori di lavoro, alcuni di noi (Francesco e Gabriele, con l'aiuto anche di Paolo e di Elisa che non fanno però parte di urbanisti.ka) si erano interessati alle vicende regionali legate all'installazione di radar militari nelle coste della Sardegna. 

L'avevamo fatto con un primo progetto, per altro mai abbandonato, dal nome Essere Esempio

Ci eravamo preoccupati di recuperare alcuni studi e alcune indagini e di intervistare uno specialista del settore, cioè Michele Saba, docente di Fisica all'Università di Cagliari.


Di seguito riportiamo uno stringatissimo riassunto di quanto emerso dalla nostra ricerca (per altro già apparso sul sito dell'Urban Center Cagliari a firma di Francesco) e anche il video integrale dell'intervista fatta al prof. Saba.

L'OMS ha pubblicato gli studi effettuati sui campi elettromagnetici presenti nella vita quotidiana delle persone (particolarmente d'aiuto la pubblicazione dal titolo "What are electromagnetic fields?", presente proprio nel sito del World Health Organization), evidenziando come le linee guida e le normative adottate sia negli USA che nell'UE siano talmente cautelative da indicare fattori di rischio almeno 100 volte minori dei presunti valori che introdurrebbero problematiche per la salute umana (addirittura per i radar si parla di livelli di esposizione con intensità di campo elettrico pari a 0,2 V/m per un valore limite di ben 5000 V/m). I radar emettono segnali a microonde pulsati. La potenza di picco di un impulso può essere anche molto elevata, anche se la potenza media può rimanere invece particolarmente bassa. Quasi tutti i radar si trovano a muoversi o a ruotare: questo riduce la densità di potenza media a cui il pubblico sarebbe esposto nelle vicinanze, sempre ricordando che è necessario limitare le esposizioni nelle aree di accesso pubblico al di sotto dei livelli indicati nelle linee guida. "Fintantochè viene impedito l'accesso del pubblico nelle vicinanze dei radar, i limiti di esposizione ai campi a radiofrequenza stabiliti dalle linee guida non vengono sicuramente superati". E anche se ci si trovasse nelle immediate vicinanze non ci sarebbe incidenza (perchè non si parla di radiazioni ionizzanti).


Intervista, seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=8nDcfYvV1GQ


Intervista, quarta e ultima parte: https://www.youtube.com/watch?v=EulCIb4GBKI


venerdì 16 maggio 2014

Come ti distruggo un pezzo di città - il canyon di Tuvixeddu

Il canyon che mette in collegamento la parte centrale della via Is Maglias con la parte finale della via Falzarego è un tortuoso passaggio lungo circa un chilometro, di larghezza variabile, con pareti alte fino a 35 metri, che permetteva il rapido trasporto agli impianti di trasformazione del materiale cavato nel colle di Tuvumannu


Originariamente, come dichiarato dalla dott.ssa Donatella Salvi, ex-soprintendente ai vincoli archeologici di Cagliari e Oristano nonché responsabile scientifico dell'indagine archeologica condotta su Tuvixeddu, l'Italcementi (che qui ha cavato fino agli anni '70) avrebbe dovuto realizzare unicamente un tunnel. Nel tempo, però, fu realizzato questo enorme taglio, utilizzando il materiale asportato per la produzione della calce (che, secondo quanto detto dallo speleologo Marcello Polastri e dal prof. Roberto Copparoni, fu utilizzato per la costruzione di Bergamo nuova e di Milano 2). 


Il canyon è caratterizzato dalla forma a S, poiché nella sommità del colle era ed è ancora presente la Villa Mulas-Mameli, già villa Massa; e proprio la presenza della villa dei proprietari della cava ha causato la profonda deviazione nel tracciamento del canyon artificiale. Nella situazione attuale si può ammirare l'indisturbato volo del gheppio che nidifica nelle sue pareti rocciose, e capita spesso di trovare interessanti fossili, abbastanza comuni alle pareti di questa zona. Sicuramente ha rivestito particolare importanza all'interno del dibattito pubblico sul tema lavori sì/lavori no nella questione Tuvixeddu il problema della viabilità locale e di scorrimento. 


Si tratta principalmente della famosa strada che sarebbe dovuta passare a ridosso del parco, proprio dentro il canyon, e che avrebbe completato la viabilità di scorrimento così come è stata configurata nel piano del traffico. La questione è complessa. Il progetto avrebbe consentito di completare il collegamento urbano tra il versante est di Cagliari e quello ad ovest, realizzando così una direttrice fondamentale di scorrimento che manca alla città.

Più nel dettaglio l'infrastruttura stradale, nel suo complesso, avrebbe consentito di porre in collegamento diretto l'asse litoraneo cagliaritano (via San Paolo, svincolo della Scaffa, via Roma, viale Colombo, la S.S. 195 - 130) sul versante nord occidentale, con l'asse mediano (S.S. 131, la 554 con lo svincolo di viale Marconi, Genneruxi, Amsicora) sul versante nord orientale all'altezza dell'ex Motel Agip, realizzando un agevole, quanto indispensabile, collegamento tra le zone sud est e le zone ad ovest della città senza interessare la viabilità umana e senza sostanzialmente modificare le strade cittadine, che attualmente risultano ingolfate proprio dalla presenza di correnti veicolari esclusivamente di attraversamento della città.



Questo itinerario si sarebbe inquadrato nel processo di completamento dell'assetto viabilistico della città di Cagliari ed in particolare nella strategia di “rottura” della configurazione radiale delle principali direttrici di accesso urbano e di interconnessione con gli assi di scorrimento ad est e ad ovest della città. II collegamento infatti nel suo sviluppo trasversale (rispetto alla longitudinalità dell'asse litoraneo e di quello mediano) favorisce la ripartizione del traffico sul territorio urbano. 


Tale itinerario avrebbe quindi avuto l'obiettivo specifico di risolvere le problematiche di forte congestione viaria che interessano i collegamenti sul versante in oggetto, ma anche il compito di alleggerire ambientalmente l'impatto che un numero elevato di autoveicoli può avere all'interno delle strade cittadine (soprattutto quelle della Cagliari alta, come viale Merello e viale san Vincenzo, arterie che risultano spesso intasate nelle ore di punta). 

In particolare, nel famoso canyon artificiale di Tuvixeddu, si sarebbe dovuta avere una strada per la maggior parte in superficie, mentre nel tratto più a sud, in trincea parzialmente aperta per scendere successivamente sotto il parcheggio pubblico da realizzare in rilevato. 



Non si sarebbe trattato di “autostrada” come erroneamente si è sentito dire nel corso degli anni, ma appunto, di strada di scorrimento con velocità di progetto di 50 km/h (si tratta di ambito urbano), la cui funzionalità non è data tanto dalle velocità raggiungibili tra i due versanti, quanto piuttosto per i tempi di percorrenza proprio per l’assenza di incroci a raso e conflitti tra diverse correnti di traffico. La strada sarebbe dovuta essere composta da due corsie più banchine, con ampi marciapiedi e, dove possibile, con alberatura continua, con una sezione netta pari a 13 metri. 


Nel tratto del canyon, infine, la viabilità di scorrimento sarebbe coincisa con quella locale. Lungo il confine con il parco archeologico, il marciapiede avrebbe dovuto avere una sezione maggiore, con siepi e alberature, per diventare un percorso pedonale adeguato all’importanza del collegamento. 


Nel tratto di Tuvumannu, invece, ci sarebbe dovuto essere un diverso scenario. La strada di scorrimento sarebbe stata realizzata in interrato, mentre la strada locale sarà in superficie. Attualmente è possibile vedere il cantiere della strada nel tratto di Tuvumannu, proprio sotto la via CastelliQuesto è però bloccato dall'articolo 49 del P.P.R., in attesa che lo stesso venga recepito dal P.U.C. I costi totali di realizzazione dell'intera infrastruttra sarebbero dovuti essere attorno ai 30 milioni di euro. Per il solo tratto di Tuvumannu il costo, finanziato con fondi regionali e europei, è stato invece di 9 milioni. 

Bibliografia:
- Piano attuativo dell'accordo di programma, a cura di Livio De Carlo e Eliana Masoero
- Speciale Tuvixeddu, sul sito della RAS
http://www.regione.sardegna.it/index.php?xsl=510&s=92403&v=2&c=5578&d=1&t=1&tb=5577&st=5
-Tuvixeddu, progetto per la viabilità, a cura di Piu, Gaviano, Meloni, Piras
-Cenni su Tuvixeddu, a cura di Marcello Polastri
http://web.tiscali.it/sfscagliari/tuvixeddu.htm
-Tuvixeddu, vicende di una necropoli, a cura di Donatella Salvi
-Tuvixeddu vive, di Copparoni, Pili e Polastri
-Tuvixeddu 2012, documentario a cura di Francesco Accardo e Alessandro Congiu
Tuvixeddu 2012
-Speciale Tuvixeddu, rubrica a cura di Francesco Accardo per Urban Center Cagliari

martedì 13 maggio 2014

Pavimentazioni stradali in calcestruzzo

La costruzione di pavimentazioni stradali in calcestruzzo è una tecnologia ormai molto diffusa in tutto il mondo, ma poco applicata in Italia, dove i tratti stradali realizzati in tal modo, e perciò con sovrastrutture rigide, sono molto limitati.

Si tratta di una valida alternativa al conglomerato bituminoso e ha trovato un grande campo di applicazione soprattutto negli Stati Uniti (che ha maturato ormai un'esperienza decennale), in Germania, Gran Bretagna, Olanda e Belgio.


Una sovrastruttura stradale (l'insieme degli strati che sopporta complessivamente le azioni indotte dal traffico veicolare) deve garantire proprietà strutturali, funzionali e superficiali. Nel caso di sovrastruttura stradale con pavimentazione in calcestruzzo è proprio quest'ultimo a garantire le proprietà strutturali (diversamente garantite dai vari strati di base, sottobase, fondazione), mentre le caratteristiche funzionali e superficiali non sono garantite dal calcestruzzo.

Il calcestruzzo è un materiale resistente, rigido e durevole e per questo è la scelta tradizionale per la costruzione di dighe, gallerie, ponti ed altri tipi di strutture; per le stesse ragioni il calcestruzzo potrebbe rappresentare una scelta eccellente, e anche sostenibile economicamente, pure per le strade.


Le pavimentazioni in calcestruzzo offrono prestazioni di rilievo in condizioni progettuali sfavorevoli (sia per l'ambito climatico sia per le caratteristiche del traffico), hanno una vita utile decisamente maggiore delle pavimentazioni flessibili in conglomerato bituminoso e ha un costo iniziale sensibilmente maggiore, che tuttavia a lungo termine diventa inferiore assicurando l'economicità dell'intervento (tale vantaggio è dimostrato da diversi studi effettuati negli anni negli Stati Uniti). L'economicità, applicandoci al caso italiano, è fortemente ribadita dalla produzione su tutto il territorio nazionale di calcestruzzo con aggregati e leganti trovabili localmente. Le pavimentazioni, inoltre, secondo gli studi condotti dalla Portland Cement Association e dal Centre for Surface Transportation Technology, garantiscono inoltre una maggiore luminanza rispetto al conglomerato bituminoso e hanno una resistenza al rotolamento (da non confondere con la reazione di aderenza e responsabile di circa il 30% dei consumi di carburante di un veicolo) nettamente inferiore.

L'elevata resistenza meccanica rende possibile la costruzione di pacchetti di pavimentazione più sottili rispetto al classico conglomerato bituminoso e dunque una sostanziale riduzione dei volumi di costruzione.


La manutenzione, come accennato precedentemente, ha costi inferiori a causa della maggiore durata della vita utile della strada e viene effettuata in frequenza minore, proprio per la durabilità delle caratteristiche meccaniche del calcestruzzo, arrecando dunque molti meno disagi agli utenti dell'infrastruttura. 

Costruire strade in calcestruzzo è oggi dunque non solo una valide alternativa al sistema tradizionale, ma una vera e propria esigenza determinata dalla costante crescita del traffico di autovetture e del traffico pesante. Le pavimentazioni in calcestruzzo sono sicure, economiche e rispettose dell'ambiente.


venerdì 9 maggio 2014

Metropolitane del mondo: Copenaghen

Capitale e città più popolosa della Danimarca conta circa 510 mila abitanti e una densità abitativa di 5793 ab./km2.
Il trasporto urbano è costituito da una rete ferroviaria suburbana, dagli autobus e dalla metropolitana.

La Metro
Venne inaugurata nel 2002 e conclusa nel 2004 dopo una serie di indagini iniziate nel 1992 che portarono alla scelta rivelatasi poi particolarmente efficiente di servire la città con due linee e 22 stazioni di cui 9 in comune. Il sistema di metropolitana integra ed in parte sostituisce, la pesante rete ferroviaria pendolare della S-tog in precedenza ridotta al minimo.



Le 9 stazioni in comune attraversano il centro città fino a Christianshavn dove poi le due linee si separano. La linea M1 (verde), con una lunghezza di 14,3 km, arriva fino a Vestamager passando per Ørestad, mentre la linea M2 (gialla), lunga 10,2 km, termina all’aeroporto di Copenaghen.
La particolarità della metropolitana, sta nella tipologia di attraversamento del territorio.
A Vanløse e presso Amager il tracciato giunge in superficie dopo aver attraversato il centro città nel sottosuolo, attraverso delle gallerie (munite di ripetitori di segnale GSM per i telefoni cellulari), con ogni stazione munita di ascensori e scale mobili per migliorare l’accessibilità pedonale e con una sala di controllo per il personale per monitorare le piattaforme, e lo spazio per accedere e uscire dai treni. Da Amager in poi le stazioni sono sopraelevate poiché la rete di estende su viadotti costruiti appositamente.
I movimenti sono controllati e monitorati da un sistema di controllo automatico dei treni a tre elementi. La circolazione dei treni è basata su sezioni di blocco fissi,  che impedisce ad un treno di entrare in un tratto già occupato da un altro treno.


Prospettive future.

Nell'estate del 2007 è stata approvata la realizzazione della Metro City Circle Line, ossia alla creazione di due linee circolari che aiuteranno lo smaltimento del traffico nelle ore di punta. 
Le due linee percorreranno l’intero percorso nel sottosuolo ed è prevista la costruzione di 17 nuove stazioni.
La fine dei lavori e la conseguente apertura della nuova rete è prevista per il 2017.

martedì 6 maggio 2014

Il piano di colorazione


Il problema che la cultura architettonica si trova oggi ad affrontare non è più la fase espansiva dell'edificazione ma la gestione del patrimonio edilizio esistente, la sua riqualificazione in termini di recupero e risanamento. L'ambiente storico delle nostre città ha acquisito, nella vita di tutti i giorni oltre che nella cultura urbanistica sempre maggiore importanza. 

Questo progressivo interesse ha avuto come conseguenza più immediata una migliore attenzione verso quegli elementi che caratterizzano l'ambiente cittadino; dagli aspetti più aulici dell‟edilizia storica di seguito si è passati a comprendere l'identità storica della città.

Ciò comporta una profonda trasformazione degli strumenti metodologici, progettuali e normativi. Accanto, quindi, al recupero strutturale degli edifici, risulta necessario il progetto cromatico delle città come strumento per la comprensione e la valorizzazione delle caratteristiche architettoniche e tipologiche delle case. Edifici, vie, piazze hanno sempre subito nel tempo gli effetti dei mutamenti economici e sociali riuscendo, sino ad alcuni decenni or sono, a mantenere inalterata la gradevolezza del loro insieme. Il piano di colorazione si propone quindi come elemento di rilettura dell'esperienza locale attraverso l'interpretazione del tessuto urbano, lo studio delle sue tecniche costruttive, del fascino dei suoi elementi di facciata e dei suoi colori originali.
La casualità nell'uso del colore ha provocato e provoca gravi fenomeni di degrado della qualità ambientale.
Ai colori originari si sono aggiunti nel tempo una qualità di colori eterogenei di composizione chimica con tipi di finiture pressoché infinite. Il pericolo è rappresentato dall‟uso non accorto di queste nuove risorse e da una serie di interventi selvaggi di colorazione e di arredo ormai visibili ovunque. Dunque il piano di colorazione è un progetto di riqualificazione e salvaguardia dei caratteri morfologici e materiali dei centri storici e regolamenta le operazioni di coloritura, pulitura e restauro di edifici e di manufatti di arredo urbano.


Viene attuato attraverso specifici schemi d’intervento, con piani particolareggiati per le tinteggiature e progetti del colore per zone e ambiti, nel pieno rispetto della lavorazione e dei colori 
originari del patrimonio storico edilizio.

Tratto da:
- http://www.settef.it/it/azienda/piani-del-colore.html
- http://www.pulsanterie.it/leggi_190/manduria.pdf
- http://www.comune.torino.it/regolamenti/239/239.htm


giovedì 1 maggio 2014

Come ti distruggo un pezzo di città - l'ecomostro del colle di San Michele

Alle pendici del colle di San Michele, affacciato sulla via Jenner e proprio a poche centinaia di metri dall'ospedale Brotzu, sorge lo scheletro di una megastruttura sanitaria mai completata: si tratta di 53mila metri cubi di calcestruzzo, ferri e mattoni forati completamente abbandonati su una superficie di poco meno di 3 ettari.

Nel marzo del 1988 la società Predelta s.r.l., secondo molti legata all'ex sindaco Emilio Floris, chiese la concessione edilizia per l'area in questione (allora classificata come zona G2, ovvero area per servizi generali).


Non ricevendo risposta dal Comune di Cagliari, guidato prima da De Magistris e successivamente da Dal Cortivo, la società ricorre al T.a.r. che impone al Consiglio Comunale una decisione: il 28 gennaio 1991 infatti il Consiglio approva il progetto di una immensa struttura sanitaria privata (la più grande clinica della città) specializzata e convenzionata per la lungodegenza dei malati provenienti da altre strutture, pubbliche o private. 

Immediatamente, come testimoniato da diversi residenti della zona e da frequentatori del colle di San Michele, viene tirata su un'alta rete di protezione per chiudere quell'area, un tempo adibita a pascolo e a uliveto (ancora fortunatamente presente in parte).


Nel giro di qualche mese sorge un gigantesco scheletro di cemento armato: l'edificio nord in pianta è assimilabile a una "X" e l'edificio sud, più alto di quello nord di una decina di metri, sempre in pianta, è simile a una "Y", come facilmente verificabile attraverso l'utilizzo di immagini satellitari e aeree.

Dopo la realizzazione delle strutture di base, dei vani scala e dei vani ascensori, la costruzione subisce un arresto inspiegabile.


Come riportato da un articolo di Ennio Neri su Il Sardegna del 12 luglio 2010, "dopo la costruzione dello scheletro del fabbricato, il progetto si arena. Fonti dell’assessorato all’Urbanistica parlano di una variazione nelle norme che consentivano, prima, per un utilizzo del genere, un’altezza dei locali tot, altezza che in seguito è stata aumentata. Questo dovrebbe essere il motivo (o il pretesto) tecnico di ostacolo alla realizzazione della struttura. Tutta l’operazione si è svolta a cavallo di un quadro normativo vecchio ed uno nuovo".

Il blocco dei lavori arriva dopo l'edificazione delle sole strutture. La realizzazione dei muretti in laterizio che sono attualmente presenti avviene infatti più di 15 anni dopo senza una programmazione precisa del lavoro e dopo le tante segnalazioni di insicurezza e pericolo dello stabile in questione.


Nel 2010, a distanza di 22 anni dalla richiesta di concessione edilizia, sempre Neri scrive che "in un'interrogazione depositata in consiglio 4 consiglieri comunali di opposizione (Andrea Scano, Claudio Cugusi e Ninni Depau, Pd e Giorgio Cugusi, Città promessa) denunciano il pesante impatto della struttura sul colle di san Michele. E chiedono al sindaco di conoscere la proprietà attuale dell’immobile, i motivi alla base dell’interruzione dei lavori e soprattutto quali iniziative intendano porre in essere per salvaguardare il valore paesaggistico del colle".

Andrea Scano, allora all'opposizione e adesso Presidente della Commissione Urbanistica del Comune di Cagliari, nonché uno dei proponenti dell'iniziativa del 2010, aggiunge "che dal versante dell’opposizione non possiamo fare un granchè… nel senso che non abbiamo in mano le leve per modificare certe cose. Abbiamo però la possibilità (e il dovere) di vigilare, denunciare, criticare, pungolare".


Attualmente il sito è frequentato da bande di ragazzini in cerca di brividi, da writers che anche nei tempi recenti sono entrati per i loro disegni e da senzatetto che qui hanno trovato un posto protetto dalle piogge per trascorrere l'inverno.

La recinzione non esiste praticamente più e le elementari misure di sicurezza sono completamente disattese: si può infatti finire dentro un buco senza nemmeno accorgersi, si può inciampare su uno dei migliaia di ferri d'armamento delle strutture ed è facilmente possibile imbattersi in tossicodipendenti e balordi. 

Tutto attorno alla struttura è una immensa discarica: copertoni, tavole di legno, giocattoli, vestiti, sedie, tavoli, vecchi elettrodomestici.


Affianco alla struttura, da una parte un vasto uliveto nel quale in autunno vengono lasciate a marcire diverse tonnellate di olive, dall'altra, verso il colle, è presente quello che sembrerebbe l'avviarsi di un cantiere mai finito per la realizzazione di una nuova entrata (dedicata al lato nord-est) al colle di San Michele: ci sono infatti panchine, sentieri, lampioni.

Nonostante la violenza che è stata fatta alla città con l'edificazione di quello che è possibile definire a tutti gli effetti un vero e proprio ecomostro, è impressionante, magico e romantico (nel senso tedesco del termine) l'accedere a questo luogo. 


Da una parte c'è il degrado urbano, la cementificazione vera e propria e senza criterio, il non-senso e la standardizzazione delle forme fatta da mediocri architetti e modesti ingegneri.

Dall'altra parte c'è una natura che negli anni si è riappropriata di questo posto creandovi una situazione fuori dal normale, completamente anacronistica e sicuramente da vivere. In silenzio.