martedì 25 marzo 2014

Tecnologie no dig - di Francesco Accardo

Sul bilancio economico-amministrativo di una città percorsa ogni giorno da un numero elevatissimo di veicoli, i costi derivati dalla manutenzione ordinaria dell'asfalto incidono pesantemente. Se poi si aggiunge anche quella straordinaria, allora si capisce l'impossibilità da parte di un'amministrazione di indirizzare finanze ed energie verso interventi più importanti.

Posare le tubazioni su fossa interrata è praticamente la norma: infatti non costituisce ostacolo alla percorribilità del territorio, assicura una buona coibentazione termica e una efficiente protezione meccanica. Tuttavia, per poter posare una tubazione su fossa interrata è necessario lo scavo di una trincea: in una città questo corrisponde al rovinare l'asfalto, fermare il traffico, modificare le strutture superficiali.



La tecnologia no-dig (chiamata anche trenchless) permette la posa di nuove condotte (nonché la riabilitazione, la manutenzione e la sostituzione di condotte esistenti) evitando di scavare trincee a cielo aperto, eliminando tutti quegli effetti negativi che questo comporta: minimizza l'interferenza con il traffico veicolare e pedonale in corrispondenza dei cantieri, elimina i rischi per la demolizione e evita il rifacimento della pavimentazione stradale.

Le principali tecniche di no-dig (directional drilling, microtunnelling e pipe ramming) si basano su una perforazione teleguidata che consente l'esecuzione di tracciati curvilinei effettuando dei fori pilota di piccolo diametro per poi utilizzare un alesatore che trascina in posizione l'intera tubazione desiderata. Scavando dei semplici pozzetti è possibile poi in questo modo curare la manutenzione di una rete di distribuzione cittadina (utilizzando gli stessi macchinari usati per la posa in opera). Si tratta di tecniche, adatte a qualsiasi tipo di terreno, che riescono a posare condotte di diametro anche superiore ai 2000 mm per distanze anche di più di 2 km.


Entrando in maniera un po' più specifica nel dettaglio, le principali tecologie no-dig, in relazione all'installazione, sostituzione o manutenzione di condotte interrate, sono:

il directional drilling o Trivellazioni Orizzontali Controllate (T.O.C.): tecnica di trivellazione con controllo attivo della traiettoria;
il microtunnel con TBM (micro TBM): Consiste nella perforazione di minigallerie mediante teste fresanti (scudi) ad avanzamento autonomo (senza gruppo di spinta esterno) con il rivestimento realizzato in sito man mano che lo scudo avanza;

il pipe-jacking: tecniche di installazione in cui la condotta viene installato per spinta nel terreno, al seguito di uno scudo di escavazione a fronte aperto o chiuso e nelle quali il materiale scavato viene portato fuori dal foro con un sistema meccanico o idraulico;

il pipe bursting: tecnologia che prevede la demolizione dell'esistente condotta in materiale fragile (ghisa grigia, gres, ecc.) e il contemporaneo inserimento di una nuova condotta anche di diametro superiore a quella demolita;

il pipe splitting: identico alla tecnologia precedente da idonea a sostituire tubazioni in materiale duttile (acciaio, ghisa sfeoridale, ecc.);

lo spray lining: tecnologia che si basa sull'impiego di opportune miscele (a base di cemento o di resine termoinduruenti) che vengono spruzzate, con appositi applicatori, sulle pareti della condotta da rinnovare, ristabililendo accettabili valori di impermeabilità e scabrezza superficiale;

il Cured In Place Pipe o CIPP: tecnologia che prevede l'inserimento di una guaina in feltro o feltro tessile impregnata con una idonea resina termoindurente e con uno strato esterno in materiale plastico idoeno al contatto con il fluido convogliato nella tubazione da risanare;

il close fit lining: consiste nell'inserimento nella condotta da risanare di un tubo, di regola plastico, di diametro superiore ma oggetto di una deformazione preventiva atta a ridurne il diametro. Una volta inserita la tubazione le dimensioni originali vengono ristabilite mediante aria/acqua i pressione facendo aderire il nuovo tubo alla superficie interna di quello ospite;

il loos fit lining: consiste nell'inserimento nella condotta da risanare di un tubo, di norma in materiale plastico (pead) di diametro leggermente inferiore il quale pertanto non aderisce alla superficie interna del tubo ospite;

lo spiral lining: tecnologia che prevede l'inserimento di una nuova condotta entro una preesistente da rinnovare. Al contrario delle tecnologie fit lining la nuova condotta viene formata durante l'inserimento in quella preesistente, partendo da uno speciale coil (lamiera) di materiale plastico o metallico che viene avvolto su se stesso a spirale.


Particolarmente vantaggiose in ambiente urbano, in quanto riducono drasticamente sia l'inquinamento acustico ed atmosferico che l'impatto sul traffico veicolare e pedonale, le tecnologie no-dig permettono di contenere e molto spesso evitare tutta una serie di costi diretti e indiretti. Tra i diretti si prendono in considerazione quelli della demolizione e del successivo ripristino delle pavimentazioni stradali, mentre tra gli indiretti rientrano quelli legati in generale ai rallentamenti e alle limitazioni del traffico urbano.

Anche in ambito extra-urbano tali tecniche presentano alcuni vantaggi come la limitazione d'impatto su zone ad elevato valore paesaggistico.

Soluzioni non-economiche inizialmente, in quanto per i macchinari e la formazione del personale sono richieste spese considerevoli, ma grazie ai continui miglioramenti tecnologici le tecniche no-dig stanno diventando sempre più competitive con quelle delle pose tradizionali di scavi a cielo aperto.


per approfondire si consiglia:
- www.nodig.it(il portale italiano delle tecnologie no-dig)
- Manuale di tecnologie no-dig di Renzo Chirulli
- www.trenchless.eu(blog relativo alle tecnologie no-dig)
- dispense del corso di Acquedotti e Fognature della Laurea di Ingegneria Civile dell'UniCa, tenuto dal prof. Roberto Deidda

domenica 23 marzo 2014

Gli strumenti urbanistici alternativi al piano particolareggiato - di Francesco Accardo

Nei dibattiti più moderni sul ricorso generalizzato dei piani particolareggiati come strumenti d'attuazione urbanistica da parte delle amministrazioni comunali, ci si interroga sempre più frequentemente sulla loro reale operatività (in particolare nelle zone di interesse storico, artistico e culturale): la difficile scrittura e lettura di questi ha comportato un periodo di stallo attuativo (facilmente riscontrabile anche in casi specifici come il quartiere Castello a Cagliari).

In tal senso il legislatore ha voluto introdurre nuovi piani urbanistici attuativi, che traducano in elaborati tecnici di dettaglio le previsioni e le prescrizioni degli strumenti urbanistici sovraordinati.

Di seguito vengono indicati i principali strumenti alternativi al piano particolareggiato e che hanno avuto già ampio riscontro (per un maggior dettaglio si rimanda ai tradizionali testi di Urbanistica).

Il Piano per l'Edilizia Economica e Popolare (PEEP) è stato introdotto con il D.L. 167/1962 e non è altro che un piano per zone da destinare alla costruzione di abitazioni a prezzi moderati e controllati, con proprietà degli alloggi in regime di diritto di superficie o di proprietà piena.

I Piani per gli Insediamenti Produttivi (PIP) sono piani di iniziativa pubblica per aree industriali (cfr. D.A. 2266/U/1983 Decreto Floris) progettati per accogliere attività monotematiche o un insieme di attività tra quelle indicate dalla legge.

I Piani di Recupero, di iniziativa pubblica o privata, riguardano gli immobili o intere zone del territorio comunale che non possono essere oggetto di trasformazione edilizia, ma sono invece soggetti a recupero dei fabbricati secondo prescrizioni sovraordinate. Queste zone di recupero possono anche essere estremamente circoscritte fino ad arrivare alla singola unità immobiliare e possono riguardare aree anche fuori dalle zone territoriali omogenee di centro storico (le zone di categoria A secondo il Decreto Floris). Lo scopo è la conservazione, il risanamento e il recupero degli edifici, la migliore destinazione d'uso di determinati edifici di particolare pregio e un nuovo e coerente utilizzo delle aree inedificate. 




Oltre questi, e più recentemente, si collocano i Programmi Complessi, strumenti di governo territoriali introdotti negli anni '90 per risolvere problemi di carattere amministrativo-gestionale (in particolare per il reperimento dei finanziamenti per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria). Tali programmi riguardano interventi diretti sul territorio che coinvolgono, fin dalle prime fasi della programmazione, le capacità economiche e imprenditoriali dei privati. Tali piani, prevedendo degli standard qualitativi e essendo essi stessi delle varianti allo strumento urbanistico vigente, riescono a smuovere territori degradati, disagiati e completamente ingessati individuando tempistiche, realizzatori e risorse per ogni singolo intervento sulle zone sulle quali vogliono agire.

Rientrano tra i Programmi Complessi: Programmi Intergrati di Intervento, Programmi di Recupero Urbano, Contratti di Quartiere, Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio.

(principale fonte le dispense del corso di Tecnica Urbanistica della Laurea Magistrale in Ingegneria Civile dell'UniCa, tenuto dall'ing. Cheti Pira)

sabato 22 marzo 2014

Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico - di Stefano Murtas

Viene qui proposta una stringata spiegazione su quello che è il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico, quale è il suo scopo e come può essere interpretato da chiunque voglia prenderne visione.

Il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.) è stato introdotto con la legge 183/1989 con lo scopo di individuare le aree a rischio idrogeologico e definire le corrispondenti misure di salvaguardia.

In Sardegna è stato approvato con decreto del Presidente della Regione Sardegna n. 67 del 10/07/2006.

Esso rappresenta un fondamentale strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo ai fini della pianificazione e programmazione delle azioni e delle norme d’uso del suolo, finalizzate alla conservazione, alla difesa ed alla valorizzazione dello stesso, e alla prevenzione del rischio idrogeologico individuato sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio regionale.

Il D.P.C.M. del 29 Settembre 1998 detta le linee guida per la redazione del P.A.I.

Si individuano 3 macrofasi:
  1. Individuazione delle aree a rischio idraulico

    Vengono individuati in cartografia di scala adeguata, i tronchi di rete idrografica. Per ciascuno di essi verrà compilata una scheda che riporti sinteticamente la tipologia del punto di possibile crisi, le caratteristiche idrauliche degli eventi temuti, la descrizione sommaria del sito, la tipologia dei beni a rischio e le informazioni disponibili sugli eventi calamitosi del passato.


  2. Perimetrazione delle aree a rischio idraulico
Nel P.A.I. Sardegna sono individuate quattro aree di pericolosità idraulica, riferite ad eventi caratterizzati da portate al colmo calcolate in base a quattro differenti tempi di ritorno.

Hi4: pericolosità idraulica molto elevata. Sono le aree con una probabilità di inondazione riferita ad una portata con tempo di ritorno di soli 50 anni.

Hi3: pericolosità idraulica elevata. Sono le aree con una probabilità di inondazione riferita ad una portata al colmo con tempo di ritorno pari a 100 anni.

Hi2: pericolosità idraulica moderata. Sono le aree con una probabilità di inondazione riferita ad una portata al colmo con tempo di ritorno pari a 200 anni.

Hi1: pericolosità idraulica bassa. Sono le aree con una probabilità di inondazione riferita ad una portata al colmo con tempo di ritorno pari a 500 anni.

Una volta note le aree a pericolosità idraulica, si ottiene la misura del rischio idraulico mediante l’espressione Ri = Hi * Ei * V

Dove Ei rappresenta la categoria di elementi a rischio presenti in un’area (anch’essi sono suddivisi in 4 classi), e V la vulnerabilità degli elementi a rischio.

Anche le aree di rischio (diverse quindi da quelle di pericolosità), sono individuate da un numero:

Ri4: area a rischio idraulico molto elevato

Ri3: area a rischio idraulico elevato

Ri2: area a rischio idraulico medio

Ri1: area a rischio idraulico moderato

  1. Fase di programmazione della mitigazione del rischio

    L’ultima fase consiste nella decisione delle misure da prendere in merito alla mitigazione del rischio idraulico. Esse possono consistere in interventi strutturali, o non strutturali. È ovviamente auspicabile che la maggior parte dei finanziamenti concessi, vengano utilizzati per ridurre il rischio nelle aree a rischio maggiore.

Le norme di attuazione del P.A.I. ( negli articoli 27, 28, 29, 30), indicano quale tipo di intervento è consentito effettuare nelle rispettive aree a pericolosità idraulica. 
Risulta di fondamentale importanza conoscere se ci si trova in una zona Hi, poichè i vincoli imposti potrebbero impedire un certo tipo di pianificazione piuttosto che un altro.

Norme di attuazione del P.A.I:



Qua sotto viene riportata un’interessante mappa dove sono evidenziate le aree sopra accennate ( più quelle a pericolosità e rischio geomorfologico, sempre normate dal P.A.I.), relative al comune di Cagliari.



Chiunque volesse, può sbizzarrirsi nel condurre un’analisi più dettagliata e navigare tra i quartieri della città o in qualsiasi comune sardo. Si può approfittare dell’ottimo servizio offerto da Sardegnageoportale:

Per maggiori informazioni sull’argomento trattato, è possibile consultare le linee guida del P.A.I.:

Per una conoscenza più approfondita si rimanda al sito della Regione Sardegna: