Questo
edificio su tre livelli, costruito alla fine dell'800 era conosciuto
precedentemente con il nome di villino Garbato, dal nome dei
proprietari che qui abitavano fino agli anni '20. Il nome attuale è
stato invece dato dall'ultimo titolare dell'immobile.
Come scrive Francesco Erbani su la Repubblica del 23 maggio 2008 "si tratta di una gentilissima costruzione ottocentesca, nel cui giardino sorge uno dei palazzoni che sovrasta le tombe. Molte sepolture sono dentro i ruderi del villino, camere mortuarie incassate nella grotta accanto a colombari. Le pareti sono tagliate in orizzontale e sul fondo è scavato l’alloggio per i corpi. Per terra una carcassa di motorino, una batteria di auto, i resti di un pasto. Fino a pochi anni fa dalle finestre del villino si vedeva lo stagno di Santa Gilla e poi il mare. Ora c’è una muraglia di case".
Questo
edificio su tre livelli costruito nell'800 era conosciuto
precedentemente con il nome di villino Garbato, dal nome dei
proprietari che qui abitavano fino agli anni '20. Il nome attuale
deriva invece dall'ultimo titolare dell'immobile.
Residenza
padronale prima, rifugio anti-aereo di fortuna durante la Seconda
Guerra Mondiale e, come riportato sia da Roberto Copparoni che da
Marcello Polastri, anche luogo di feste e addirittura sala da ballo
dal dopoguerra fino agli anni '70. Da allora la villa è
completamente abbandonata in mano a balordi, tossicodipendenti,
prostitute e senzatetto. Sono infatti evidenti i segni dell'incuria e
del degrado degli anni: materassi, preservativi, boccette di metadone
e siringhe sono solamente alcuni esempi di ciò che è possibile
trovarci.
Ma,
nonostante l'uso deviato fatto negli anni e il degrado totale
regnante, la villa rimane comunque una testimonianza dello stile
liberty caratteristico della città di Cagliari ed è di particolare
importanza per la stratificazione storica e abitativa facilmente
riscontrabile. La villa ha la peculiarità di insistere sopra un'area
archeologica molto importante per le preesistenze di differenti
periodi. Non solo dell'epoca fenicio-punica (nei dintorni
dell'abitazione sono diverse le tombe a pozzo) come la gran parte
della zona dei colli di Sant'Avendrace, ma più che altro dell'epoca
romana. L'edificio si appoggia infatti sopra una serie di tombe
caratterizzate da degli arcosoli descritti già nel 1861 nella Guida
alla città di Cagliari e dintorni dal canonico Giovanni Spano, che
cita una serie di elementi decorativi molto belli e particolari.
La villa si appoggia inoltre al costone roccioso, inglobando tutta una serie di ambienti funerari riadattati a cantine e cucine. Colombari e tombe ad arcosolio sono collegati tra loro sfondando le pareti, oggi sommersi di macerie, rifiuti, escrementi, graffiti.
Tra
le presistenze va citata senza dubbio alcuna una tomba, proprio nei
pressi della villa Serra, che è la sepoltura (o colombario) di Gaio
Rubellio, caratterizzata da una iscrizione funeraria posta
all'ingresso:
C(aius)
Rubellius Clytius
Marciae L(uci) f(iliae) Helladi
Cassiae
Sulpiciae C(ai) f(iliae) Crassillae
coniugibus
carissimis
posterisque suis.
Qui legis hunc titulum mortalem
te
esse memento.
Si
tratta di una tomba a camera con una pianta quadrangolare databile I
secolo d.C. all'interno della quale vi si può accedere tramite sei
gradini semicircolari o direttamente dall'interno della stessa villa
Serra. L'ingresso principale è sormontato da un'iscrizione in latino
racchiusa in una semplice modanatura: "ricordati di questa
tomba, tu mortale che passi di qui".
All'interno
sono presenti tre nicchie principali per contenere le urne del
defunto (Caius Clytius Rubellius) e delle sue due mogli e ancora una
struttura con altre due nicchie e un arcosolio, di età posteriore.
Al di sotto delle tre nicchie principali come titulus proprietatis
della struttura è anche visibile lo spazio per l'inserimento delle
lapidi, purtroppo non ritrovate.
La
grotta, così come la villa Serra, abitata negli anni anche da
senzatetto, spesso occupata da abusivi e ritrovo di
tossicodipendenti, è stata vandalizzata e ora è in fase di restauro
per una futura apertura, con i lavori consegnati il 23 settembre 2011
e attivati grazie a finanziamenti ARCUS.
Ma
ciò che perplime è la miopia (o forse la completa cecità) di quei
modesti burocrati delle pubbliche amministrazioni che prevedono sì
un recupero(e già finanziato) a futura fruizione della tomba di
Rubellio, senza però occuparsi minimamente della zona circostante,
dell'accesso alla tomba stessa e quindi senza occuparsi della villa
Serra, delle casupole occupate, delle scalette del vico completamente
degradate.
Manca, come sempre, la visione complessiva e l'idea stessa di pianificazione e di concertazione degli interventi.
Forse
aveva dunque ragione Marcello Fois nello scrivere che "la
constatazione più grave e triste per qualunque sardo di buona
volontà è che, dietro la questione Tuvixeddu, c’è il peccato
capitale isolano: quello di non rendersi conto del patrimonio che si
ha sotto gli occhi. Le comunità colonizzate da un capitalismo
malinteso e da un malinteso affarismo, che ha radici nella bassissima
considerazione di se stessi, spesso preferiscono il guadagno a breve
termine al patrimonio a lungo termine".
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